Versilia, prime ore del mattino.
Cammino sulla spiaggia. Il sole è già alto. Io ho paura del buio. Ancor di più dell’acqua. Lei raccoglie una conchiglietta.
“Vedi, questa è un’arsella!”.
“Come sono piccole”, commento incantato. “lo credo che sia così difficile pulirle!”.
Ripenso a quante volte mi sono detestabilmente lamentato, al ristorante, per aver trovato, nella mia zuppetta di arselle, un po’ di sabbia.
Provo senso di colpa per questo e vorrei tornare indietro nel tempo a cancellare il senso di vergogna per tutte le volte in cui, senza sapere quanto cuore (prima) e quanto lavoro (poi) fossero costate quelle manciate ampie di arselle sgusciate che avevo nel piatto, ho lasciato che i miei piedi calpestassero la poesia: “cameriere c’è un problema: la sabbia. Troppa sabbia”.
Vorrei aver potuto offrire, al mare, al pescatore, al cuoco, la loro legittima τιμη.
Quante volte ho preteso la mia! Furioso contro i lamenti arroganti e profani dei miei clienti (abbiamo speso 15 euro per tre misere alici, che vergogna! E ancora, venti euro per tre fette di prosciutto, che scandalo!). […]
Avrei voluto gridare che ciò che il cliente ignaro chiama furto, per me, spesso, è un dono d’amore. Avrei voluto prendere per il bavero e strattonare forte chi scherniva crudelmente il mio lavoro, valutando la materia prima in virtù di parametri basati solo sulla propria, limitatissima esperienza.
Poi, afferrare il suo braccio e trascinarlo a forza fino all’Autogrill più vicino, indicargli la vetrina dei panini e sbraitargli nell’orecchio: “Questi sì, sono cari! Questo pane industriale decongelato, questo prosciutto prodotto chissadove! Questi novevirgolanovantanove euro, questo, sì, è un furto!
Io pretendo la mia τιμη!”.
“Quelle che tu chiami tre misere alici sott’olio, sono acciughe pescate solo tra aprile e maggio e selezionate con amore durante i miei viaggi, pensando solo a Te! Immaginavo e pregustavo la tua felicità – unico vero motivo del mio lavoro – nel degustare anche tu, attraverso me, quel prodotto irripetibile”.
Vorrei pretendere il mio onore, ma la mia vergogna mi impone il silenzio, giacché so che la mia vera τιμη dipende da come coltiverò, con tutto me stesso, la compassione necessaria a essere divulgatore resistente.
Il resto è tempo sprecato.
L’ignoranza genera chiusura, cattiveria, bruttezza. Ricordo allora, come, avvicinandomi a ciò che non conosco, quante volte lo abbia giudicato senza vergogna, con incompetenza, scortesia, rozzezza.
È facile mettere in scena affascinanti sermoni da ristoratore colto e appropriarsi del ruolo di precettore. Lo è molto meno mantenere l’umiltà costante e reiterata, propria di chi si sente, perché così dev’essere, un principiante.
La zuppetta di arselle è uno di quei piatti semplici e allo stesso tempo così delicati e preziosi che rappresentano il sentire del Ristoratore Resistente, umile e virtuoso, divulgatore di bellezza.
Le 5 regole del Ristoratore Resistente
1) Il Ristoratore Resistente deve avere la vocazione per il proprio mestiere, trasformandolo nella propria missione, proteggendolo e rendendogli giustizia ogni giorno, quale guardiano e conservatore delle sue regole etiche, tecniche e procedurali, nonché dello spirito del mestiere stesso.
2) Il Ristoratore Resistente deve essere colto. Deve conoscere l’origine e i Disciplinari di ogni prodotto sul mercato.
3) Il Ristoratore Resistente deve essere coraggioso; non deve farsi sponsorizzare, se non da fornitori virtuosi, da lui già precedentemente selezionati. (Gli chef stellati che si vendono a marchi non dichiaratamente utilizzati nei loro stessi ristoranti, sono da condannare e boicottare).
4) Il Ristoratore Resistente deve essere un combattente: faccia, dell’uomo copertina sponsorizzato dal cibo spazzatura, il suo nemico giurato.
5) Il Ristoratore Resistente deve essere Maestro vero dei propri allievi e divulgatore virtuoso verso i propri clienti, senza eccezioni. In quanto Maestro, deve praticare l’umiltà e mantenere una mente da principiante, insegnando attraverso l’Esempio.