Wine Fiction. Viaggio nella parodia del vino (prima parte)

di Luca Farinotti

“Da che paese vieni?”

“Cosa?”

“Cosa è un paese che non ho mai sentito nominare… lì parlano la mia lingua?”

“Cosa?”

“La mia lingua, figlio di puttana, tu la sai parlare?”

“Siii, siii!”

“Allora capisci quello che dico…”

“Siiii, sì, sì”

“Descrivimi perciò un vero vino toscano, che uvaggio ha?”

“Cosa?”

“Dì cosa un’altra volta, dì cosa un’altra volta, ti sfido, due volte, ti sfido, figlio di puttana, dì cosa un’altra maledettissima volta!”

“C’è il Sangiovese”

“Vai avanti”

“E il Canajolo”

“Secondo te sembra una puttana?”

“Cosa?”

Sparo un colpo alla spalla di Brett. “Secondo te… questo… è l’uvaggio di una puttana?”

“Nooooo”

“Perché allora hai cercato di fotterlo come una puttana?”

“Non l’ho fatto…”

“Sì, tu l’hai fatto… tu l’hai fatto, Brett, hai cercato di fotterlo, ma al Sangiovese non piace farsi fottere da altra uva tranne che dal Canajolo… leggi la Bibbia Brett?

“Sì”

“E allora ascolta questo passo che conosco a memoria, è perfetto per l’occasione: Ezechiele 25:17… <Il cammino dell’uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui che nel nome della carità e della buona volontà conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre perché egli è in verità il pastore di suo fratello e il

ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno, su coloro che si proveranno ad ammorbare e infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la mia vendetta sopra di te…>

Il grande salone della fiera è gravido di spirito alcolico e di afrore ascellare. La gente sgomita, accalcata ai banchi d’assaggio. Vesto la mia immancabile giacca bianca, come da antico personalissimo self dress code fieristico. Siamo entrati da pochi secondi e, subito, avvisto, sulla nostra destra, il banchetto di una cantina d’antico affetto.

“Questo! Assaggiamo subito questo!” esclamo entusiasta.

“Calma, calma… cos’è? Non lo conosco” mi interrompe lei.

“Ma come? È uno dei miei miti, uno dei vini che hanno segnato la mia vita”.

“Ahhh, di dov’è?” fa lei

“Panzano”.

“Quindi è Sangiovese?”

“Sangiovese? Scherzi? Di più! Questo è uno dei più grandi Chianti di tutti i tempi”.

“Dai, assaggiamo”.

Ci avviciniamo al banchetto.

L’addetto avvicina la bottiglia ai nostri calici, dispensando un esile dito di liquido, come si confà ai vini preziosi. Lo avvicino, emozionato, al naso. Mi arriva, immediato, inaspettato, uno sbuffo di vaniglia a inerpicarsi su per le narici, fino al centro della fronte. Guardo lei.

“La senti anche tu?”

Mi guarda, a sua volta, allibita.

“Sì – risponde, storcendo il labbro, come a chiedermi se sia sicuro di ciò che ho appena affermato.

Le faccio un cenno rassicurante, come a dirle: “Tranquilla, non soffro ancora di perdite di memoria senili, né, tanto meno, sono già ubriaco. È Chianti Classico. So quello che dico”. Introduco il vino in bocca. All’improvviso, ecco le prime note di frutti neri, mescolate a sfumature verdi, concomitanti a chiare evidenze di vaniglia, nuovamente, e confetto della Prima Comunione. Confetto da tostature bordolesi, da legno piccolo. E nuovo.

“Accidenti, c’è qualcosa che non va”, le bisbiglio all’orecchio.

“Mi sa di sì” mi sussurra lei.

Mi volto verso l’addetto alla mescita, lo fisso negli occhi.

“Scusi, posso sapere chi è lei, all’interno dell’azienda?”

“Sono un manager, mi occupo un po’ di tutto” mi risponde.

“Mmm, senta, allora mi può aiutare. Mi scusi la franchezza signore, ma… sa io è da qualche anno che non seguo la vostra azienda; mi perdoni, posso chiedere se avete cambiato qualcosa nell’uvaggio? Forse mi sbaglio ma io sento il Cabernet Sauvignon in questo vino, percepisco chiare note bordolesi. E sento pure tanta barrique… non capisco…”.

“Sì, in effetti ne abbiamo incrementato la percentuale. Complimenti, mi fa piacere che l’abbia notato!”

“Ah, beh se il Disciplinare lo consente, insieme al Sangiovese”, commento senza curarmi di nascondere il mio disappunto.

“Disciplinare? – mi fa lui meravigliandosi con enfasi – è da tempo, sa, che non sottostiamo più al Disciplinare”.

“Ah, ora capisco. Quindi la percentuale di Cabernet è molto alta?”

“Beh, sì, diciamo che a noi, come stile aziendale, è sempre piaciuto molto il Cabernet. E il nostro territorio è molto vocato per questo vitigno. Poi, la giusta percentuale di Merlot e infine il Petit Verdot vanno a sancire la chiusura del cerchio di questo vino”.

Nella mia testa erompono termini inequivocabilmente allusivi: prostituzione, puttana, fottere.

“Scusi, ho capito bene? Merlot? Petit Verdot?”

“Certo! Ma, forse lei è rimasto alla vecchia versione, con Sangiovese, Cabernet, Merlot e Alicante?”

“Accidenti!” – esclamo io – Mi sono perso un bel po’ di cose. Veramente sono rimasto alla versione Chianti Classico Docg. Era uno dei miei vini preferiti, ci sono cresciuto”.

“Ehm, sa, il Sangiovese non è mai stato il nostro progetto fin dall’inizio. Pian piano l’abbiamo sostituito con il Cabernet Sauvignon, per arrivare a un vino più internazionale, fino alla versione definitiva che sognavamo da sempre e che lei adesso ha il privilegio di assaggiare”.

“Ma come?” penso.

“Ma, a Panzano in Chianti?” dico.

“Certo, le assicuro che il nostro terroir è molto più adatto al Cabernet che al Sangiovese”.

“Ed era il vostro progetto…” sottolineo io.

“Sì, certo” fa lui.

“Fin dall’inizio” rimarco ancora io.

A questo punto, il mio interlocutore enoico inclina leggermente il capo, accennando un sorriso accomodante e, simulando un composto stupore, aggiunge: “Piace a tutti. Questa è la versione che piace a tutti. A lei no?”

“Questo vino sa solo di vaniglia e confetto – gli faccio io – è un insulto alla storia. Vostra, mia e della Toscana”.

“È giovane – risponde lui – diventerà un grande vino, mi dia retta”.

“È inaudito”, ribatto io. Un senso di ingiustizia che non so se trattenere o lasciar scorrere, comincia a farsi strada lungo le mie fibre muscolari. Tremo di rabbia.

Il manager si accarezza il polsino. Gira con indice e pollice intorno al quadrante del suo orologio. Da bravo, ora prova ad accaparrare la mia benevolenza parlandomi dell’altro lato della medaglia: “Sa, il mercato. Sa, le guide. Sa, Parker. Abbiamo comunque ricevuto punteggi altissimi perché abbiamo fatto un vino internazionale; espiantare le vecchie vigne di Sangiovese ci ha dato la possibilità di realizzare un vino potente, rotondo, adatto al gusto internazionale. Sa, anche le esigenze del mercato…”.

“E scommetto che usate lieviti selezionati”.

“Esclusivamente”, fa lui. “Non si può rischiare di perdere una produzione per una fermentazione lasciata al caso”.

“Al caso?”

“Lei è un nostalgico, il mondo va avanti”.

Guardo il manager in silenzio, vorrei chiamarlo Brett. E, allo stesso tempo, vorrei essere Jules.

Ma Jules alla fine decide di diventare un barbone, un asceta. Mentre Brett muore.

(fine prima parte)

Luca Farinotti, #mondoristorante (tutti i diritti riservati)

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Luca Farinotti

Luca Farinotti, nato nel 1972, è un autore, docente e imprenditore italiano rinomato nel settore della ristorazione e della cultura gastronomica. Ha scritto "Mondoristorante" (2018), premiato al Bancarella della Cucina 2019 e presentato in vari festival, che esplora l'evoluzione della ristorazione italiana nei primi anni del ventunesimo secolo. Il suo libro "Reinstaurant" (2020), è un manuale fondamentale per la ristorazione post-Covid. Ha anche pubblicato "Parma 2020 Best Restaurants & Food Producers" (2019), una guida sostenibile ufficiale di Parma Capitale della Cultura 2020. Farinotti è docente di food storytelling, è stato rettore dell’Accademia Internazionale della Cultura Italiana (2021-2022), ha collaborato con importanti testate giornalistiche e è stato testimonial per UNESCO Parma City of Gastronomy. Nel settore imprenditoriale, ha creato brand di successo come Mentana 104 e Bread Parma, ed ha fornito consulenze a importanti entità nel campo della ristorazione, inclusa quella per il Consorzio del Parmigiano Reggiano.

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