La rivoluzione dei trattori libera tutti

L'Europa vuole vestirsi di green, scaricando sull’agricoltura le ansie per la fine del mondo. Ma ha uno sguardo strabico, che vede la pagliuzza e ignora la trave.

di Redazione

Una signora con il carrello della spesa si ferma e alza i gomiti in alto per applaudire i grossi trattori che sfilano. Batte le mani con forza e grida “Bravi, bravi!”, mentre altri si fermano sui marciapiedi per fare lo stesso, salutando gli agricoltori che avanzano come liberatori in colonna d’artiglieria. Scene come questa si ripetono ovunque per le strade d’Italia e d’Europa.

La protesta continua a montare ogni giorno perché gli organizzatori sentono un diffuso sostegno popolare. I cittadini italiani ed europei comprendono che questa è una battaglia giusta, nonostante i disagi. La gran parte dell’opinione pubblica ignora cosa siano il green deal, la strategia “farm to fork” e la nuova pac. Probabilmente non sa nemmeno che uno dei temi della protesta riguarda l’uso dei pesticidi in agricoltura, che l’Ue vuole tagliare drasticamente per difendere la salute e l’ambiente.

Molti sanno, invece, che la perfida Europa, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, è intervenuta sistematicamente e strategicamente nel settore agricolo, regolando la domanda e l’offerta, determinando crescita o decrescita delle produzioni, stabilendo regole, finanziando comparti in crisi, contribuendo all’acquisto di mezzi e alla costruzione di strutture. E meno male! Con ogni probabilità, senza la politica agricola comune non sarebbe stato arginato l’abbandono delle campagne, in particolar modo nelle aree montane, cominciato nel dopoguerra, disperdendo per sempre i “giacimenti” agroalimentari.

Ma allora perché gli agricoltori protestano e perché i cittadini si spellano le mani? Quello che sta accadendo non era mai successo prima, mai nella storia. Una mobilitazione transnazionale con migliaia di trattori che assediano i palazzi del potere e i nodi autostradali, partita dal basso, alimentata grazie ai social network e ora sotto i riflettori del mainstream. La scintilla della protesta è stata la nuova pac, ma la polvere incendiaria arriva da lontano.

Il vecchio continente deve fare i conti con un mondo che se ne sbatte del 4% dei terreni da mettere a riposo. La Cina produce da sola il 33% delle emissioni di gas climalteranti. Seguono Stati Uniti (12,5%), Unione Europea (7,3%), India (7%) e Russia (5%). E mentre si dibatte sulle conseguenze preoccupanti, c’è chi apre e chiude i rubinetti del petrolio per tenere alto il prezzo del barile, difendendo un enorme potere contrattuale sull’economia, visto che le energie rinnovabili sono ancora una goccia nel mare di energia consumata sul pianeta.

Nel frattempo, come accade nei libri di ricette, l’Europa vuole vestirsi di green, scaricando sull’agricoltura le ansie per la fine del mondo. Ma ha uno sguardo strabico, che vede la pagliuzza e ignora la trave. Con una mano scrive il sogno di aggiustare il clima con l’esempio e con l’altra apre le porte e i porti a merci senza freni, richiamate dalla corsa al taglio dei costi dell’industria alimentare. Quello che fa incazzare davvero gli agricoltori è la concorrenza sleale di chi non ha regole. Qualcuno, ad esempio, si è chiesto quali misure stringenti regolino il percorso che fa il pomodoro concentrato cinese? Oppure quanta frutta arrivi sui mercati da paesi dove si usa ancora il ddt, che qui è vietato da quarant’anni?

Sullo sfondo c’è la lunga e profonda crisi del potere di acquisto delle famiglie, costrette da inflazione e precariato ad abbassare la qualità della propria alimentazione. Il costo della vita si alza come uno tsunami, al pari dei costi di produzione agricola, scaricando poi gli effetti con un’onda lunga. È la tassa più iniqua e ingiusta. Se le famiglie stringono la cinghia, gli agricoltori devono fare i conti con le impennate di carburante, fertilizzanti, plastiche, vetro, sughero, ricambi, energia elettrica, metano e tanto altro. La coperta è diventata cortissima e non bastano più i palliativi degli interventi spot. Era solo questione di tempo. La protesta era inevitabile.

Purtroppo, la lista delle domande senza risposta si allunga ogni giorno. Come farà la piccola Europa a difendere i propri cittadini, e agricoltori, dalla feroce logica di un’economia mondiale interconnessa? Perché i paesi più inquinatori del pianeta hanno dazi e vincoli pesanti sulle importazioni agroalimentari e l’Europa no? Per quale ragione non si introduce un principio di trasparenza totale sul cibo, consentendo ai cittadini di riconoscere origine e processi produttivi? Come

mai l’antitrust non interviene sui cartelli multinazionali di forniture agricole? Per quale motivo l’Ue non introduce un blocco sulle importazioni di alimenti che violano le regole europee di tutela ambientale?

E allora ben vengano i trattori, a cui va anche il nostro plauso di incoraggiamento. Se gli agricoltori vinceranno la loro battaglia, sarà un bene per tutti i cittadini, italiani ed europei.

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