Coffee Orafi Lab. Un progetto che ha le sue radici nel futuro
Gemme e chicchi di caffè: piccoli grani grezzi, simili nella forma, che la sapienza dell’uomo sa trasformare in prodotti preziosi (a cura di Marina Restori)
di Redazione
Mentre sorseggia il suo caffè filtro, preparato dalla sapienti mani di sua moglie Mary, Davide Bolzoni, mastro orafo e gemmologo, ci dice che per lui il caso non esiste. Come non essere d’accordo con lui, non è un caso se noi di Make Me Italy, che difendiamo il made in Italy più autentico, il lavoro artigianale e i mestieri che vanno scomparendo, lo abbiamo incontrato sulla nostra strada.
Davide e sua moglie Mary hanno vagheggiato due sogni in uno: lei cresciuta nel bar di famiglia e lui nella gioielleria di famiglia; lei si è appassionata al caffè e alle sue declinazioni e lui alle gemme; tutti e due nel loro ambito hanno deciso di fare un percorso di crescita approfondendo la loro passione, studiando, imparando dai maestri. E non solo: “scoprendo le gemme, scopro me stesso” ci rivela Davide.
Poi si accorgono con stupore che i libri sui quali studiano contengono foto del tutto simili: le mani nodose e sporche di terra di un nativo che mostrano: in una, dei chicchi di caffè, nell’altra, delle gemme allo stato grezzo. Il caffè e le gemme condividono luoghi di provenienza e purtroppo spesso anche sfruttamento indiscriminato dei territori e degli esseri umani.
Ecco allora che il primo progetto, quello di realizzare un laboratorio di oreficeria visibile dalla strada, per fare uscire dal consueto anonimato il lavoro dell’orafo e valorizzarne l’abilità manifatturiera, si trasforma in un’idea rivoluzionaria: una caffetteria con vista su un laboratorio orafo, oppure, dipendentemente da dove entri, un laboratorio orafo con vista sugli sbuffi delle macchine da caffè e sui tavolini dove gli avventori del bar consumano le loro colazioni e aperitivi. Qualcuno li ha presi per matti, in particolare qualche burocrate che ha perso qualche ora di sonno perché non sapeva in che ramo del commercio classificare questa attività.
Nasce così Caffè Orafi, “ho già lanciato la sfida sul web”, ci provoca Davide, “sfido chiunque a trovare lo stesso format in qualche altro luogo al mondo!”
Riepilogando, avete compreso bene: siamo in un laboratorio orafo, e già questo è eccezionale, visto che solitamente questi si trovano nel retro delle botteghe; Davide è seduto alla scrivania, circondato da piccole bilance, frese, sfaccettatrici e strumenti del mestiere, la vetrina scintilla di pietre colorate bellissime e ori intarsiati con sapienza e alle sue spalle la grande vetrata si affaccia sull’andirivieni della caffetteria.
Con la promessa di tornare anche alla caffetteria, noi adesso siamo affascinati e curiosissimi di conoscere di più di questa parte del negozio. Davide è appassionatissimo del suo mestiere e non dobbiamo certo cavargli le parole di bocca, è un fiume in piena: “io ho una mission”, chiosa, “rivalutare il piccolo artigiano!” “Anche la nostra!”mi esalto io. “I brand di gioielleria sono riusciti, con un’abile operazione di marketing, a far sì che il consumatore percepisca il prodotto del brand, realizzato in serie, come più costoso, quindi più prezioso rispetto a quello artigiano; invece dovrebbe essere esattamente il contrario! L’artigiano realizza un gioiello su misura, con un design esclusivo e con delle pietre che sono tutte diverse le une dalle altre. I brand internazionali sono stati molto bravi, purtroppo invece gli artigiani negli anni si sono svenduti: ci siamo nascosti, abbiamo realizzato lavori non equamente remunerati e svalutato le riparazioni”. “Accidenti!” Mi ribello io, “anche qui l’omologazione fagocitante!” In questo caso addirittura camuffata dietro la maschera scintillante dell’oggetto esclusivo.
Solo i gioielli artigianali sono esclusivi nel vero senso del termine, ovvero singolarmente diversi gli uni dagli altri. In particolare, proprio se sono realizzati con gemme incastonate, perché è impossibile trovare due gemme identiche. Anche volendo realizzare lo stesso gioiello questo non potrà mai essere identico all’originale. A meno che non si faccia il cosiddetto “calibrato”, ovvero tante gemme tagliate nella stessa qualità e dimensione, ma allora questa è una produzione industriale.( Ed è così che in un attimo ci troviamo proiettati negli universi paralleli della gemmologia: Davide ci parla di diamanti veri, diamanti sintetici, pietre di colore, tagli, perle, ecc… e anche in questo caso non si risparmia, ma, per dovere di sintesi, non possiamo riportare tutto quanto ci ha spiegato, pertanto rimandiamo i più curiosi ad uno dei tanti incontri che Davide tiene periodicamente per raccontare il mondo delle pietre preziose ai suoi follower appassionati.
Non possiamo però rinunciare a un altro tema che sta molto a cuore alla community di Make Me Italy, ovvero quanto accennato poc’anzi in merito alla sostenibilità e all’eticità dell’estrazione delle gemme: “Facciamo una premessa”, comincia Davide, “i diamanti e le gemme non sono le uniche materie prime la cui estrazione pone grossi problemi ambientali e etici. Ad esempio le nanotecnologie dei nostri irrinunciabili smart phones necessitano di coltan e le batterie delle nostre ecologissime auto richiedono il cobalto; queste sono materie prime che vengono perlopiù estratte in paesi dove gli esseri umani non hanno nessun diritto, sono spesso ridotti in schiavitù, si pratica il lavoro minorile e non c’è nessuna cura per danni ambientali provocati, per non dire che lo stesso coltan viene usato come merce di scambio per l’acquisto delle armi sul mercato nero.
L’estrazione dei diamanti invece, dopo gli scandali dei diamanti insanguinati degli anni ’90, che hanno portato alla certificazione di Kimberly, avviene per l’80% in filiere controllate, anche se siamo ancora lontani da un mercato che si possa veramente definire equo e solidale. Purtroppo con le gemme di colore le percentuali sono ribaltate e acquistarle da una filiera controllata è difficile, per farlo è necessario stabilire un rapporto di fiducia con il commerciante. Certo che quando su internet si trovano delle ametiste vere, provenienti dalla Cina a pochi euro (anche solo 2 o 3 euro!) non vi è dubbio che chi le estrae non venga pagato.”
“Insomma”, conclude Davide, “l’importante è fare una ricerca di verità, informarsi: non illudersi che dietro ai tanti marchi di ecosostenibilità ci siano regole codificate con enti di controllo.
Noi stessi di Coffee Orafi abbiamo in programma di far certificare le nostre attività come etiche e sociali, ma abbiamo momentaneamente sospeso questo percorso perché vogliamo approfondire quali sono i parametri sulla base dei quali si viene certificati, in quanto non vogliamo farlo per meri scopi di marketing, bensì perché crediamo fortemente in questi valori, il rispetto dell’ambiente e la dignità del lavoro dell’uomo”.
La notizia positiva che ci dà però Davide è che almeno il tema etico, sociale e ambientale è molto attuale e se ne parla molto nei simposi per addetti al settore.
Passando ad argomenti più frivoli: è da quando abbiamo iniziato l’intervista che i miei occhi non riescono a staccarsi dalla spessa e meravigliosa collana di ambra che Davide indossa con grande disinvoltura. Chi l’avrebbe mai detto, una collana di ambra al collo di un uomo! “Ho deciso di fare una linea di gemme da uomo, perché no! Se scegli le gemme e la dimensione giusta possono essere elegantissime anche indossate da un uomo!” Poi guarda la sua ambra e dice: “vedi, questa ambra era una resina appiccicosa in una foresta preistorica in Messico, 23 milioni di anni fa. È questo che mi affascina delle gemme: i tempi di formazione geologica come scuola di vita. Se tu indossi una collana di ambra che ha 23 milioni di anni e non le dedichi neanche un pensiero, ti stai perdendo il bello di indossarla! Oppure guarda questa pietra, è un legno fossile che ha 250 milioni di anni. Te lo immagini? È sulla terra da 250 milioni di anni! Noi siamo qui da un secondo e tra un secondo ce ne andremo…!”
“No, tra un secondo è troppo presto, Davide, c’è un cliente che ti sta aspettando in caffetteria!”, annuncia scherzosamente Mary, facendo capolino dalla porta che ci divide. Allora ci congediamo da Davide e chiediamo a Mary di raccontarci qualcosa della sua passione per il caffè.
“La mia attività nasce come scelta di famiglia, anche se decisamente sofferta da parte mia. Il giorno dopo la maturità linguistica, nel 1994, con già in tasca un’accettazione alla scuola per hostess, i miei genitori mi annunciarono che da Rovigo ci saremmo trasferiti a Parma perché avevano preso in gestione un’area di servizio, la prima in Italia con la cassa per pagare il carburante dentro a un bar, una cosa mai vista prima! Evidentemente nel mio destino era scritto che avrei dovuto essere una pioniera in tutto!
Ho cominciato questo lavoro senza sapere niente e seguendo pedissequamente le indicazioni che mi davano su come fare il caffè (e come fanno ancora oggi nella maggior parte dei bar), ma quando ho compreso che questo sarebbe stato il mio lavoro, ho deciso che avrei voluto svolgerlo al meglio. Per cui mi sono messa a studiare, ho frequentato l’accademia italiana dei maestri di caffè, ho imparato la storia del caffè, la sua filiera, i metodi di estrazione e ho dato tutta me stessa per poter fare questo lavoro al meglio, rendendomi conto della grande ignoranza che c’è nel mondo di questa buonissima bevanda.
Oggi sono maestra e sommelier di caffè e amo servire un caffè estratto bene, non bruciato, con una miscela studiata ad hoc, lo specialty coffe Sofia, blend di 9 monorigini che ho scelto io. Io pretendo che ogni caffè, ogni cappuccino, in generale ogni cosa servita a Coffee Orafi sia fatta nel migliore dei modi e a questo scopo faccio una rigorosa formazione ai nostri dipendenti. Questo implica che il servizio sia leggermente più lento, ma per me è essenziale prendere questo tempo, affinché il caffè che viene servito sia anche una bevanda salubre, non bruciato, senza residui del caffè precedente. Anche la macchina è importantissima per avere una buona estrazione: la nostra è una Marzocco Strada, interamente realizzata a mano, con l’utilizzo di un acciaio speciale che viene usato solo per strumenti di alta precisione.
Inoltre mi sono anche specializzata sul caffè filtro, un antico metodo di estrazione, dimenticato in Italia, ma il più diffuso nel resto del mondo: si ottiene facendo gocciolare lentamente l’acqua bollente attraverso il caffè macinato, posto su un filtro. Adesso ho banalizzato”, aggiunge Mary, “ma anche questo procedimento richiede sapienza e maestria, nulla è lasciato al caso, non il caffè, ma neanche la temperatura dell’acqua. Il caffè filtro piace molto perché è un modo meno frenetico di bere il caffè, hai tutto il tempo di apprezzarne gli aromi”.
Inoltre Mary ci racconta con entusiasmo che ha appena introdotto la carta dei caffè espressi con la possibilità di scegliere tra 5 monorigini di altissima qualità, con caratteristiche organolettiche ben distinte, per offrire ai suoi clienti, che lei preferisce chiamare “ospiti”, la possibilità di apprezzare le differenze tra varie tipologie e provenienze.
Abbiamo affrontato il problema etico-ambientale-sociale delle gemme, dall’altra parte della vetrata, cosa mi dice Mary di questo problema nel mondo del caffè?
“I caffè che utilizziamo noi hanno una provenienza tracciata e l’importatore certifica che le persone che lo coltivano e raccolgono sono equamente retribuite. Mi sento di dire che per il caffè il controllo della filiera sia più facile rispetto a quello delle gemme. Abbiamo anche aderito a questo progetto bellissimo che si chiama il Caffè delle Donne, una selezione di caffè certificati Women and coffee, associazione in cui sono le donne ad occuparsi di tutte le fasi di coltivazione del caffè, sostenendo quindi la loro emancipazione, il miglioramento delle loro condizioni di vita attraverso un’attività riconosciuta di grande qualità.
In definitiva, con il caffè, come per le gemme, è necessario stabilire un rapporto di fiducia con il torrefattore che a sua volta lo stabilisce con l’importatore, il quale deve farsi garante affinché i piccoli produttori, che normalmente producono la migliore qualità, siano sostenuti e non siano costretti a svendere il loro prodotto a grossi gruppi; e che venga anche garantito che non ci sia sfruttamento di lavoro minorile nelle piantagioni; per fare questo però è necessario investire nel benessere delle comunità a 360 gradi, quindi nell’educazione, nello sviluppo economico e sociale. Noi, alla fine della filiera, possiamo fare cultura, innanzitutto rispettando e valorizzando la materia prima che utilizziamo, frutto della natura e del duro lavoro dell’uomo; secondariamente spiegando ai consumatori che i caffè non sono tutti uguali, né come qualità, né come tipologia, pertanto ogni tazzina deve essere un’esperienza diversa”.
Dopo tutto questo parlare di caffè mi è venuta voglia di un berne uno. “Perfetto”, dice Mary, “che ne dici del mio caffè filtro?”
Redazione
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