In bici nel Mondo Piccolo

Tra le ceneri della storia colture incrociano culture nel presente

di Michela Rubini

Ecco un antico podere abbandonato.

Fermiamoci qui un momento. Osserviamo il silenzio, le Alpi a nord, gli Appennini a sud, oltre il mare, mai visto, raramente immaginato. Le strade sono lunghe e dritte, non si arriva mai e la monotonia delle forme diventa noia fino allo sfracello. Ma un momento prima ecco il genio. Quello della noia, della solitudine, del sempre uguale, della trappola infernale dell’afa e dell’umido macerante della nebbia.

Qui sono covate le ceneri del pensiero, delle passioni vibranti e profonde.

Un’aia da ballare, un fienile per fare l’amore, la stalla che puzza, muggiti lontani. Quelle cime innevate. Boschi, prati, terra rubata al fiume; nel fosso, rane e bisce d’acqua. Aironi, rondini, volpi, civette e poiane, grilli e cicale.

Scappiamo da tutto questo. Non è umano eppure è così vivo. Le campagne si sono spopolate, l’agricoltura è diventata industriale, si è spezzato il legame con la terra e si sono interrotti gli scambi intergenerazionali. L’economia locale oggi si basa prevalentemente sulla coltivazione di cereali, mais su tutti, sulla pioppicoltura e si vede ancora qualcuno che coltiva pomodori. Di barbabietole non si vede più traccia.

Chiudete gli occhi: qui, fino agli anni Settanta, c’erano distese di tabacco che veniva coltivato per produrre i sigari. Poi si ammalò e questo costrinse a smetterne la coltivazione. A distanza di 50 anni ancora oggi non è possibile riprenderne la coltivazione perché la malattia è diventata endemica.

La Meme, al secolo Fermina, era lunga e magra. Indossava una gonna nera che le scendeva fino ai piedi. Non si era sposata e viveva in due stanze che aveva preso in affitto. Due stanze, una sopra l’altra, unite da una ripida scala. La crisi del tabacco segnò la fine dei fiammiferi della Meme.

Per farli, perché la Meme faceva tutto in casa, prendeva il gambo del tabacco che è molto legnoso e ne ricavava tante strisce lunghe circa 15 cm. Poi scioglieva lo zolfo in un pentolino con un poco di sugna di maiale. Infine, intingeva l’estremità delle strisce nel pentolino e le metteva ad asciugare a testa in giù lungo le scale. Li usava per accendere il camino nella stanza al pianterreno; il camino le serviva per cucinare e come unica fonte di calore per l’inverno.

Tenete sempre gli occhi chiusi e immaginate accanto al tabacco, filari di gelsi. Qui si allevava infatti il baco da seta, anche in questo caso, finché il gelso non si ammalò. La bachicoltura venne introdotta in Europa nel VI sec. d.C., prima in Grecia e poi in Sicilia, ma solo dopo si sviluppò in tutta l’Italia e in particolare in Veneto e nella pianura padana, portando l’Italia al primo posto tra i paesi sericoli del mondo. Colture e culture che hanno scritto la nostra storia, modellato il territorio, determinato i ritmi di vita. Riprendiamo ora il nostro cammino, per andare al cuore del nostro territorio, andiamo a vedere Po.

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Michela Rubini

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