Sandro De Filippi

Nel percorso quasi trentennale che ci ha condotti fino alla fondazione di Make Me Italy e del suo Manifesto, Sandro De Filippi, oste, poeta del vino, filosofo, referente Slow Food per la Liguria ha avuto un ruolo fondamentale per alcuni di noi, lungo il trascorrere degli anni.

Sandro ci ha lasciati troppo prematuramente certo e se, da una parte rimane il vuoto incolmabile della sua assenza corporea, dall’altra ci ha lasciato un patrimonio di cultura, percorsi, linee guida, valori cui è imperativo continuare ad attingere nel presente e nel futuro. Ma non solo: tanti sono i temi condivisi, le battaglie gastronomiche rimaste sul tavolo la cui elaborazione deve proseguire.

Sandro non c’è più. Ma per noi è – e continuerà ad essere – un Maker a tutti gli effetti. Molte delle cose che deve ancora fare Make Me Italy porteranno anche la sua firma.

Laddove le acciughe fanno il pallone, un altro Sandro (de Filippi) faceva l’oste asciutto. Per me e Diego fu il primo vero maestro di bottiglia. Ci recavamo periodicamente alla sua enoteca di Sestri Levante, come si va in pellegrinaggio: spinti dalla brama dell’iniziato da una parte e sostenuti dal senso del dovere del discepolo dall’altra.
Andavamo da lui preavvisandolo di una settimana con telefonate del genere “martedì siamo da te, veniamo per l’Amarone.” Lui rispondeva solo “Vi aspetto”.
Senza necessità di ulteriori momenti dialettici, al nostro arrivo, ci faceva trovare direttamente sul tavolo lo schieramento completo di ogni vino rosso, conosciuto e non, ottenuto da uve appassite in graticcio o sulla pianta, e proveniente da qualsiasi angolo del mondo: dal Patriglione di Cosimo Taurino al Graticciaia di Vallone, dallo Sfursat 5 Stelle di Nino Negri a qualche mai sentito nominare rosso contadino del Canton Ticino. E poi, va da sé, tutti gli Amaroni classici della Valpolicella, dai più tradizionali come Bertani, ai modernisti come Romano Dal Forno. Dai maestri assoluti come Beppe Quintarelli, fino alle nuove leve come Tommaso Bussola.
Ci accoglieva senza fronzoli specificando: amarone, se parliamo di appassimento, non è solo Valpolicella e mentre noi eravamo già perdutamente caduti in una più che sbalordita estasi contemplativa, aggiungeva spiccio: “Il discorso è ampio e lungo, perciò mettetevi comodi e spero che vi siate presi tutto il tempo necessario. Da dove volete cominciare?”
“Cominciamo dal principio” facevo io.
“In principio era l’uva. Si parte sempre da lì. E lì si deve finire” rispondeva lui.
Ogni volta che andavamo a trovarlo, gli parlavo delle “scoperte” che avevo fatto nel periodo in cui non ci si era visti. E ogni volta che mi convincevo di aver stanato chissà quale rarità enologica in giro per l’Italia, lui mi rimetteva sempre al mio posto descrivendomi quel vino come se lo avesse bevuto cinque minuti prima.
Un giorno, avevo preso una cotta (passeggera fortunatamente) per i vini iper-concentrati bigbabol style di Enrico Fossi, arrivo e gli dico: “ti ho portato questa bottiglia da assaggiare, sono certo che non l’hai mai vista, questa. Ne fanno milleseicento bottiglie”. Era un Sassoforte 1995. “Può darsi dice lui, sai ne ho comprati e bevuti tanti di questi vini… è un cabernet in purezza se non sbaglio, questo”. Prende in mano la bottiglia, la maneggia pochi secondi, dando una rapidissima occhiata all’inguardabile etichetta dai contorni fucsia, poi spiega: “E’ cambiata l’etichetta. La precedente era molto più signorile, più fine. Fammi un po’ vedere se ho qualcosa, qui”. Raggiunge una delle barriques sparse per il locale (in quest’occasione scoprimmo che le barriques adibite a tavoli o banchi di servizio servivano, in realtà, a nascondere botole d’accesso a insospettabili depositi segreti, probabilmente sconfinati, di bottiglie rare), apre una porticina e si infila dentro alla botte, scomparendo fino alla cintura. “Ecco, forse, qui, trovata!” Sandro riemerge con un Sassoforte 1988 stretto in mano, mi guarda e mi dice: “La prima annata, questa, se non vado errato. Trecento bottiglie prodotte, mai uscita sul mercato. Se vuoi la beviamo oggi!”
Sandro de Filippi era un maestro che non si faceva mai trovare impreparato da un suo allievo.
Ed è anche per questo che io e Diego non potevamo credere che le serate fossero già finite quando, ben oltre il cuore della notte, il nostro maestro ci congedava perché saremmo stati subito pronti per cominciare una nuova lezione. E così, ormai soli ma ancora pulsanti di conoscenza nuova e di vino vecchio, andavamo a esaurire l’ebbrezza, per non portarcela ingiustamente via con noi, dove potesse, invece giustamente, sfumare nel suo mare della Baia del silenzio, aspettando i pescatori e l’alba.

La Ricetta, Crêuza de Ma
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Questa ricetta (non più realizzabile a causa dell’estinzione degli ingredienti principali) spiega come prepararsi all’arrivo dei pescatori liguri alle prime luci dell’alba. Raggiungete dunque l’Enoteca Nazionale di Sestri (chiusa definitivamente) entro e non oltre le ore 19. Dopo i saluti, asciutti ed ermetici, come da onorabile uso del Levante, lasciate che il patron, Sandro de Filippi, vi apparecchi l’aperitivo con un bianco di scoglio e un piatto di lardo tratto dal suo marmo a rotelle. A questo punto, siate fiduciosi nell’oste e nelle poche facce da passeurs che potete intravedere stagliate nella luce bassa, ai tavoli di fianco al vostro. Ascoltate e bevete mentre ascoltate. Questo luogo non esisterà più. Non potendo memorizzare i quadretti rossi e bianchi delle tovaglie né l’etichetta del vostro Fontalloro, in virtù dell’ebbrezza crescente, cercate allora di ricordare i sorrisi e il sapore del pesto di basilico fresco battuto nel mortaio davanti a voi: non serve altro. Fate notte. Finite l’ultimo sorso di Percarlo 1993 (era la serata “sangiovesi”, certamente). Ora andate alla spiaggia. Il vostro compagno, Diego Sorba, futuro oste resistente, estrarrà dallo zaino Nove Racconti di J.D. Salinger. Leggete a voce alta, a reciproco beneficio, un paragrafo a testa dell’Uomo ghignante. Appena dopo quella ragazza che gettò, nel 1939, il suo accendisigari a un delfino da una nave in crociera ai Caraibi, vi attarderete ora, soprattutto, su Mary Hudson, quando dalla terza base vi saluterà con la mano, e voi le risponderete nello stesso modo, perché non avreste potuto trattenervi, nemmeno se lo aveste voluto. Arrivate in fondo al racconto. Lasciate che i brividi lungo la schiena si mescolino all’aria fresca sobbalzante dalla risacca. Ora contemplate il corteo dei marinai, sagome nere senza volto, che portano i pesciolini. Le voci, ancestrali, coperte dall’odore dei flutti infranti sulle maglie.